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Beni e servizi fuori dal Mepa fino a 5mila euro

Entro i 5.000 euro le amministrazioni non hanno l’ obbligo di utilizzare le piattaforme telematiche per l’ acquisto di beni e servizi, ma devono fare particolare attenzione per evitare frazionamenti di appalti di maggior valore.

Il documento posto in consultazione dall’ Autorità nazionale anticorruzione per l’ adeguamento delle linee guida sugli affidamenti sottosoglia pone l’ attenzione sulla modifica apportata all’ articolo 1, comma 450 della legge 296/2006 dall’ articolo 1, comma 130 della legge 145/2018, con l’ innalzamento della soglia di franchigia, nell’ ambito della quale le amministrazioni pubbliche possono fare a meno di utilizzare il Mepa o le piattaforme telematiche messe a disposizione dai soggetti aggregatori regionali. Nelle linee guida n. 4 l’ Anac aveva individuato il valore determinato dal comma 450 dal 2016 (1.000 euro) come dato dimensionale di riferimento per gli acquisti di modesto importo, in ordine al quale era possibile non applicare il principio di rotazione. Nella relazione accompagnatoria alle modifiche delle linee guida, l’ Autorità evidenzia come, in base alla modifica della disposizione con il nuovo valore apportata dalla legge di bilancio 2019, debba essere valutata l’ opportunità di innalzare a 5.000 euro anche la soglia introdotta nelle linee guida n. 4 con riferimento all’ obbligo di rotazione, chiarendo che la modifica comporterebbe sicuramente una semplificazione, ma al tempo stesso, avrebbe un impatto significativo su un numero estremamente elevato di affidamenti di piccolo importo: l’ Anac individua in circa quattro milioni il numero medio annuo di affidamenti di importo inferiore a 5.000 euro. La nuova soglia contenuta nel comma 450 dell’ articolo 1 della legge 296/2006 ha anche un’ implicazione operativa molto rilevante dato che innalza il valore di riferimento entro il quale le amministrazioni non sono tenute a utilizzare il Mepa o comunque le piattaforme telematiche messe a disposizione dai soggetti aggregatori regionali o altri mercati elettronici. La particolare franchigia non è toccata nemmeno dall’ obbligo generale di utilizzo di strumenti informatici per le comunicazioni e lo scambio di informazioni previsto dal 18 ottobre 2018 dall’ articolo 40, comma 2 del Dlgs 50/2016 per tutte le procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici (quindi anche per quelle sottosoglia). L’ Anac, con il comunicato del presidente del 30 ottobre 2018, aveva chiarito come l’ obbligo dettato dall’ articolo 40 non incidesse sulle procedure effettuate per acquisti entro i 1.000 euro che potevano quindi essere gestite dalle amministrazioni con soluzioni diverse dalle piattaforme. L’ innalzamento della soglia con la modifica apportata dalla legge di bilancio 2019 amplia lo spazio nell’ ambito del quale le amministrazioni possono operare per l’ acquisto di beni e servizi con strumenti più flessibili (ad esempio, gestendo con la posta elettronica certificata le richieste di preventivi e la formazione dei contratti con il metodo dello scambio delle lettere secondo gli usi del commercio). Il ministero delle Infrastrutture, r ispondendo a un quesito posto da una stazione appaltante, in una Faq del 20 gennaio di quest’ anno conferma sia l’ interpretazione resa dall’ Anac sia l’ obbligo di utilizzo del Mepa o di altre piattaforme telematiche oltre i 5.000 euro, quindi anche nella fascia dell’ affidamento diretto sino ai 40.000 euro.

A cura di Quotidiano Enti Locali e PA (Sole 24 Ore) del 21/02/2019 – autore ALBERTO BARBIERO

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Consultazioni di mercato solo per appalti innovativi

Le consultazioni preliminari di mercato, propedeutiche alla pubblicazione del bando di gara, sono ammesse soltanto per appalti innovativi; la consultazione deve seguire l’ avvenuta programmazione dell’ intervento.

Sono queste le precisazioni che il Consiglio di stato ha fornito con il parere n. 445/2019 del 14 febbraio 2019 in merito allo schema di linee guida dell’ Autorità nazionale anticorruzione (Anac) recanti: «Indicazioni sulle consultazioni preliminari di mercato» volte a indicare quale sia l’ ambito di applicazione e di funzionamento dell’ istituto disciplinato dall’ articolo 66 del codice dei contratti pubblici. Non solo ma anche a chiarirne le modalità di svolgimento e a fornire indicazioni sul rapporto tra procedimento di consultazione preliminare e quello di scelta del contraente. Sullo scopo dello strumento (che trova la sua fonte a livello europeo nell’ articolo 40 della direttiva 2014/24 e nell’ ottavo «considerando» della stessa direttiva, i giudici di Palazzo Spada premettono che si tratta di istituto finalizzato ad «avviare un dialogo informale con gli operatori economici e con soggetti comunque esperti dello specifico settore di mercato al quale si rivolge l’ appalto prima dell’ indizione di una procedura di affidamento, così individuando le soluzioni tecniche in grado di soddisfare al meglio i fabbisogni della stazione appaltante». Non dovendo, però, essere utilizzato ad ampio raggio, vista la finalità particolare, il parere delimita l’ ambito di applicazione oggettivo alle «ipotesi in cui è presente un certo tasso di novità escludendo gli appalti di routine e quelli relativi a prestazioni standard perché questi ultimi casi si pongono in palese contrasto con la finalità dell’ istituto». Dal punto di vista dell’ operatore economico che vi partecipa, il Consiglio di stato ha rammentato che la giurisprudenza ha chiarito che l’ istituto delle consultazioni preliminari di mercato è una semplice pre-fase di gara, non finalizzata all’ aggiudicazione di alcun contratto; di norma il soggetto che partecipa alle consultazioni ex art. 66 del codice «non è titolare di una posizione differenziata in relazione alla successiva eventuale fase di gara, proprio in ragione dell’ autonomia delle due fasi, e la partecipazione ad essa non costituisce condizione di accesso alla successiva gara, anzi, in alcuni casi, può risolversi nella successiva incapacità a contrarre con l’ amministrazione aggiudicatrice, ai sensi del successivo art. 67 del codice dei contratti pubblici», cioè la norma sui «conflitti di interesse». Sul momento in cui si può effettuare la consultazione preliminare, il parere dà atto che l’ Anac ha previsto che la consultazione preliminare è riferita alla singola procedura selettiva e di regola, ma non sempre, è svolta dopo la programmazione. Il Consiglio di stato nota, tuttavia, l’ inciso «di regola» «non esclude la possibilità, per la stazione appaltante, di anticipare tale momento ove sussistano specifiche motivazioni». Per il Consiglio di stato, invece, la naturale collocazione dell’ istituto è nella fase successiva alla programmazione, anche per evitare che si possa influire, in modo più o meno trasparente, proprio sull’ atto di programmazione che, come è noto, è cruciale per la successiva attività della stazione appaltante. Per tale ragione è opportuno che l’ Anac valuti la possibilità di sopprimere l’ inciso «di regola».

A cura di Italia Oggi pag.42 del 22/02/2019 – autore ANDREA MASCOLINI

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Offerte, sono da verificare calcoli sul costo del lavoro

La verifica della congruità dell’ offerta va effettuata anche se il costo del lavoro è riferito a collaboratori autonomi dell’ offerente e non ai suoi dipendenti.

Lo ha precisato la prima sezione del Tar Sardegna con la pronuncia n. 94 del 5 febbraio 2019 in merito a una aggiudicazione di una gara rispetto alla quale la commissione giudicatrice aveva rilevato come incongrua la migliore offerta, mentre il responsabile unico del procedimento l’ aveva invece giudicata congrua, aggiudicando l’ appalto. Era accaduto che un candidato aveva presentato un’ offerta in cui il costo del lavoro era stato calcolato sulla base dei contratti di lavoro non dipendente che lo stesso aveva stipulato con dei consulenti esterni (partite Iva) e con i quali aveva contrattato il compenso. I giudici hanno rilevato che la stazione appaltante, pur non potendo sindacare le modalità di organizzazione interna di un operatore economico, né imporre determinati tipi contrattuali in luogo ad altri, nel giudizio di verifica della possibile anomalia di un’ offerta, se occorre valutare la congruità del costo del lavoro (e quindi la congruità e serietà dell’ offerta) nei casi in cui non sia possibile fare un immediato riferimento agli importi dei contratti collettivi nazionali, deve comunque valutare la corretta determinazione del costo del lavoro anche con strumenti diversi. Il Tar non condivide, quindi, la tesi per cui non si poteva effettuare la verifica di congruità perché tra l’ impresa e il prestatore d’ opera di lavoro non dipendente esisteva soltanto la libera contrattazione del compenso. Nella sentenza si legge che, premesso che il Jobs act non ha dettato disposizioni specifiche sul compenso dei lavoratori autonomi, rimane il fatto che anche nei confronti dell’ operatore economico che decide di utilizzare collaboratori che non sono lavoratori subordinati, la stazione appaltante non è esentata da qualsiasi giustificazione in ordine al costo di tali collaboratori nell’ offerta che ha presentato. Tutto da capire rimane il parametro da utilizzare per la verifica in concreto della congruità del costo del lavoro (autonomo).

A cura di Italia Oggi pag.42 del 22/02/2019 – autore ANDREA MASCOLINI

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